Tempi di moto teatro di Giacomo Poretti

Questi sono tempi dove, a causa di uno dei più piccoli, fetenti e misteriosi virus della storia umana della microbiologia,  bisogna convivere obbligatoriamente con l’incertezza, talvolta con l’oscurità, e il dubbio; e per non lasciarsi sopraffare dal pessimismo e dalla paura dobbiamo fare appello alle nostre risorse di ingegno e creatività, in ogni campo: siamo stati costretti ad inventarci modalità nuove per andare al supermercato ( chi lo avrebbe mai detto che per comprare 3 zucchine e il detersivo per la lavastoviglie bisogna avere la temperatura al disotto dei 37° ?), abbiamo indossato mascherine così fantasiose che nemmeno a carnevale abbiamo arrischiato, qualcuno, superati i quarant’anni si è finalmente lavato le mani, e soprattutto noi italiani abbiamo imparato a fare le code.

Anche il teatro è stato costretto a reinventarsi a causa della pandemia.

Dal mese di febbraio tutte le sale hanno dovuto fermarsi, solo in estate sono state consentite forme di spettacolo perlopiù in spazi all’aperto e con rigide limitazioni di pubblico ed altre, necessarie, amenità burocratiche.

Noi del neonato Teatro Oscar, come dicono gli inglesi ed anche gli italiani che si esprimono solo in inglese, una stat up, ci siamo messi le mani nei capelli perchè nonostante un avvio più che promettente, nonostante il sostegno della Fondazione di Comunità, eravamo senza liquidità, come dicono gli italoinglesi, penniless, aut of cash, insomma rischiavamo dopo pochi mesi di attività il default.

Si sa che la necessità aguzza l’ingegno, e, voi non ci crederete ma improvvisamente si è accesa una piccola luce che ci ha fatto deporre le canne del gas, abbiamo anche chiuso il rubinetto non si sa mai, e staccare le pistole, peraltro erano di giocattolo quindi innocue, dalle tempie: qualcuno ha cominciato a dire ape car, un altro attore sul cassone, infine all’unisono abbiamo urlato Moto Teatro Oscar.

Se il pubblico non può andare a teatro sarà il teatro che andrà nei luoghi dove il pubblico potrà stare: in un chiostro, in un parco, in un oratorio, in un paio di cortili.

E così è stato, 25 spettacoli, quasi 4000 spettatori, da giugno  a settembre, nella nostra Milano che è bella e reattiva anche quando nell’aria invece della scighera, come direbbero gli inglesi fog, ci sono i virus.

Grazie agli attori che hanno recitato sul palcoscenico più piccolo del mondo, un metro e quarantotto per un metro e quaranta, grazie al pubblico che ha assistito spettacoli indossando la mascherina e ha dovuto battagliare con le zanzare che sono più rompiscatole dei virus, e grazie a chi sostiene le start up, because this is time of opportunity.

Come dicono a Milano: alzà el kü e das de fa…